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Carlo Freccero e la tv che cambia

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20130522_180139-1"Chi fa televisione è un po' un fallito, perché fare tv significa fare surf tra molte qualità, e non essere uno specialista di qualcosa, come un docente universitario". Carlo Freccero, mercoledì, alla libreria Ambasciatori per il suo Televisione (Bollati Boringhieri) parte così, con una battuta. Ma ben presto comincia una lezione di storia della tv italiana, e delle sue prospettive. Sul palco con lui c'è Roberto Grandi, e parlano di 60 anni di televisione italiana, dalle origini al digitale terrestre e alla pay per view, ma soprattutto dell'avvento delle televisioni private. "Negli Usa le tv nascono nel 1921 e sono commerciali, qui in Europa sono servizio pubblico, per educare, informare, intrattenere - dice Grandi - Una tv pedagogica, che aveva come obiettivo elevare il livello culturale della gente. La tv commerciale vuole invece fidelizzare, e Freccero ha capito per primo come doveva porsi e proporre, per battere la tv pubblica. Che non è solo batterne l'audience".

Freccero comincia una lezione che per certi aspetti ha i toni di una confessione: "Nel 1978 incontro una persona che mi dice: 'Vieni con me a lavorare', io gli rispondo 'sto facendo ricerca in università', 'quindi non lavori', mi fa lui". Quella persona era Silvio Berlusconi, e lui lo segue. Freccero ha cultura, che fornisce strumenti al campo mediatico, cioè la lucidità, una dimensione storica, una forma critica, che permette di capire come si muovono le cose, analizzarle. "Per caso capisco che la tv commerciale non è lo stesso medium del servizio pubblico. La tv commerciale vive di audience, cioè va utilizzata, vista. Deve vendere pubblicità, e vende il pubblico ai pubblicitari. Vergognoso? Bisogna leggere i tempi. Allora la tv era censura, apparato di Stato, ma quella commerciale sembrava una forza dirompente, come le radio private". I tempi stanno cambiando. "È appena uscito un film insopportabile, la Febbre del sabato sera, e lì John Travolta è matrice di tutti i ragazzi di Amici. Proletario senza coscienza, in discoteca. Finiscono le sezioni, le parrocchie, e vince una luce sola, bluastra, quella della tv. Non più pedagogica. Intanto escono i saggi di Lyotard, e nel 1979 inizia l'affermazione del liberismo e la finanziarizzazione dell'economia. La tv è il sismografo di quello che sta avvenendo, può far nascere cose, e inizia un processo per cui dà identità alle periferie".  

20130522_180141-1Succede un paradosso: "Nasce la democrazia della tv", dice Grandi, cioè la maggioranza, che fa audience, sceglie il palinsesto. E resta così fino al digitale terrestre, all'era dell'abbondanza, quando anche la minoranza trova la sua tv. "Ora il soggetto è la moltitudine - aggiunge - È una forza dirompente. E Freccero c'è ancora". Ed è direttore di Rai 4, consapevole che "il muro della maggioranza cade col digitale, ma la tv è accerchiata da nuove piattaforme, da internet", e sa che "l'editto bulgaro con l'internet di adesso non sarebbe stato possibile, perché sarebbe stato ridicolizzato". Molto è cambiato, e l'ultima campagna elettorale, "con Bersani che non la faceva e Berlusconi che saturava tutti gli spazi televisivi" ha segnato uno spartiacque.  

Ecco Beppe Grillo: "È stato vittima della tv, censurato, ora con internet obbliga la tv a inseguirlo. Denuncia la casta, espone il suo corpo e propone obiettivi concreti, usa il marketing virale, il web per i più giovani e le tv locali per gli anziani". La sinistra non sa rispondere ("Oggi Renzi sembra Berlusconi da piccolo"), e la tv generalista risponde con cerimonie mediatiche, "come quelle di Fazio e Saviano", o attaccandosi allo sport. Freccero guarda altrove, le tv major americane e quelle a pagamento, il cinema dell'estremo oriente, "che ha imparato la narratologia occidentale con i videogame. Intanto le nuove tecnologie sviluppano il fantasy e la fantascienza, la contemplazione dello spettacolo, mentre i prodotti devono circolare su più piattaforme, in un mercato sempre più complesso, dove i nuovi media devono cinguettare attorno ai prodotti".  

E la web tv? "Non fa ancora un fatturato, in italia. Ma vedo l'America, con prodotti di valore tra informazione, web series e genere comico. Non ha ancora un'industria, infatti con Santoro abbiamo lavorato a un progetto di web tv, ma abbiamo visto che ancora non ti paga. Anche se col formato smart tv le web tv entrano nella numerazione, nel circuito della pubblicità". E allora chissà... Intanto Freccero guarda già al prossimo libro, interrogandosi sul consumatore attivo e i nuovi media, ponendosi domande: "Nei nuovi media mi libero dallo spettacolo? O l'iperattivismo mediatico non è entrare in un grande fratello mediatico a cui dico tutto di me, in cui lascio continue tracce? Oppure c'è un pubblico che sa ridere di tutto, prendere distanze, agire? La battaglia è aperta, e nei media è difficile definire il bene e il male".


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